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LA GUERRA SPORCA DEI VINCITORI: La verità sulle operazioni segrete delle forze alleate e la fuga dei Criminali nazisti per sfuggire alla pena di morte grazie all’aiuto degli americani

12 Marzo 2025

La guerra era finita . Restava ora da processare i criminali nazisti, ma  molti di loro sparirono nel nulla: chi cambiava nome, chi fuggiva senza lasciare traccia. Gli architetti dello sterminio, uomini il cui nome faceva tremare intere generazioni, non solo scamparono alla giustizia, ma lo fecero con una facilità disarmante.

Treni che correvano nella notte, confini varcati sotto mentite spoglie, documenti nuovi di zecca stampati con una firma compiacente. L’Europa del dopoguerra, con i suoi equilibri precari e la sua fame di stabilità, offriva più vie di fuga di quante la gente fosse disposta ad ammettere. Alcuni trovarono rifugio tra le montagne dell’Alto Adige, altri approdarono sulle coste del Sud America, e dietro le loro fughe c’erano mani insospettabili: prelati troppo indulgenti, ufficiali con poca memoria e governi già proiettati verso una nuova partita politica.

C’è chi dice che la storia la scrivano i vincitori. Vero, ma certe verità restano sepolte sotto troppi strati di ipocrisia. Il libro Le scomode verità nascoste nella II Guerra Mondiale di Vincenzo Di Michele si spinge oltre la narrazione ufficiale, rivelando dettagli che fanno scricchiolare la facciata del dopoguerra.

Questo approfondimento è stato scritto prendendo come riferimento le ricerche e i contenuti presenti nel libro, che getta luce su eventi spesso taciuti, offrendo una prospettiva storica accurata e documentata.

Alto Adige, il luogo perfetto in cui nascondersi

L’Alto Adige è stata una terra di confine, né troppo italiana né del tutto tedesca, sospesa in un limbo politico che la rese il perfetto rifugio per chi aveva bisogno di sparire. Non serviva essere un grande stratega per capire che tra quei passi montani si aprivano vie di fuga sicure. Strade battute da contrabbandieri, rifugi nascosti tra le rocce, locande dove nessuno faceva domande di troppo. I criminali nazisti in fuga sapevano bene che da lì si poteva arrivare lontano. Argentina, Paraguay, Spagna: destinazioni diverse, un solo punto di partenza.

L’ultimo scorcio di guerra trasformò il confine altoatesino in una zona grigia, dove le regole erano più elastiche e i controlli più lenti. A fine aprile 1945, quando il Reich si sgretolava sotto il peso dell’inevitabile sconfitta, le SS e i collaboratori più compromessi non pensarono neppure per un istante di arrendersi. Bastava cambiare divisa, trovare un nome nuovo, aspettare il momento giusto. Per chi sapeva muoversi, quelle montagne erano più sicure di qualsiasi bunker.

Nel caos del dopoguerra, il confine tra giustizia e complicità si fece sottile come la carta velina. Mentre si celebravano i processi ai criminali di guerra, molti si mettevano in viaggio con un biglietto di sola andata per un nuovo inizio.

Documenti, coperture e nuove identità

Fuggire non era abbastanza. Serviva una nuova identità, una storia credibile, un pezzo di carta che certificasse un’esistenza mai vissuta. E qui entravano in gioco le reti di protezione, un intreccio di complicità dove si mescolavano religiosi, funzionari e insospettabili benefattori.

Molti di questi documenti arrivavano direttamente dalla Croce Rossa Internazionale, che dopo la guerra iniziò a rilasciare permessi di viaggio per gli sfollati. Un gesto umanitario? Sì, in teoria. Ma nella pratica, le maglie dei controlli erano così larghe che tra i profughi veri si infilavano anche gerarchi nazisti, ufficiali delle SS e collaboratori del Reich. Bastava una dichiarazione generica, qualche informazione fumosa e il passaporto era servito.

Non tutti si limitavano a un’identità di copertura. Alcuni si reinventavano completamente. Un ex ufficiale delle SS diventava un tranquillo commerciante, un criminale di guerra si trasformava in un modesto meccanico. La nuova vita iniziava con un biglietto per l’Argentina, il Brasile o il Paraguay. E una volta laggiù, chi si sarebbe mai preso la briga di scavare nel passato?

Le operazioni segrete delle forze alleate

I giornali parlavano di giustizia e condanne esemplari. Eppure, dietro le quinte si muoveva un’altra partita, più oscura, più ambigua, più difficile da raccontare.

Alcuni criminali di guerra non finirono sulla forca, ma al servizio di nuove cause. Chi aveva progettato armi innovative diventò improvvisamente un esperto ricercato, chi conosceva segreti del regime divenne un informatore di valore, chi era stato un fervente anticomunista si trasformò in un alleato prezioso nella guerra fredda che già si profilava all’orizzonte.

Possiamo senza ombra di dubbio affermare che il pragmatismo vinse sulla giustizia. L’intelligence americana e quella britannica non si fecero troppi scrupoli: alcuni ufficiali nazisti furono reclutati, protetti e persino stipendiati. Avevano combattuto dalla parte sbagliata, ma nel nuovo scacchiere internazionale erano pedine troppo preziose per essere eliminate.

E così, mentre il mondo si indignava per i crimini scoperti nei campi di sterminio, c’erano uomini che, con un nuovo nome e una nuova uniforme, continuavano il loro lavoro come se nulla fosse accaduto. Un silenzio assordante, coperto da trattative segrete e dossier scomparsi. La guerra fredda aveva appena aperto le danze, e gli ex nazisti erano già parte del copione.

 

 

 

Recensione de il giornale di Bergamo – Crimini nazisti: silenzio colpevole o cieca consapevolezza del popolo tedesco?

12 Marzo 2025

Le scomode verità nascoste della Seconda Guerra Mondiale’ di Vincenzo Di Michele è il racconto che rivela fatti che non fanno sconti a nessuno

Il mantra “Mi sono limitato a obbedire agli ordini” è la frase che risuonò più e più volte nelle aule dei processi del dopoguerra, come una cantilena recitata da uomini che cercavano di sottrarsi alle proprie responsabilità. Ma è davvero possibile ridurre a un semplice atto di cieca obbedienza il coinvolgimento di un intero popolo nei crimini più efferati della storia? Sapevano e hanno taciuto? Oppure hanno scelto di non sapere?

Durante gli anni del Terzo Reich, la propaganda e il terrore si intrecciarono in un meccanismo perfetto: un sistema in cui il consenso si otteneva attraverso il controllo dell’informazione e l’uso strategico della paura. L’ideologia nazista non si impose con la sola violenza, ma si diffuse come un veleno sottile, insinuandosi nelle coscienze, normalizzando l’orrore, trasformando uomini comuni in ingranaggi di un progetto di sterminio.

Il male non ha sempre il volto di un tiranno, né si manifesta solo nei bunker dove si decidono le sorti di milioni di vite. A volte il male è silenzioso. Si annida nelle stanze delle alte sfere, dove si stappa champagne mentre fuori si muore, ma anche nelle strade delle città, nelle case, nei cuori di chi preferisce guardare altrove. È la complicità della normalità che rende possibile l’orrore.

Questa è una storia scomoda, una di quelle che spesso restano ai margini della narrazione ufficiale. Ma le verità nascoste, prima o poi, trovano sempre il modo di venire a galla.

A riaprire questo vaso di Pandora è Le scomode verità nascoste della II Guerra Mondiale di Vincenzo Di Michele, un libro che non si accontenta delle versioni ufficiali e che non teme di affondare le mani nella polvere del passato. Pagina dopo pagina, il velo cade, rivelando fatti che non fanno sconti a nessuno. Per chi crede di sapere già tutto sulla Seconda Guerra Mondiale, questa lettura è una doccia gelata. E per chi ha il coraggio di affrontare la realtà senza filtri, è un viaggio da cui non si torna indifferenti.

La complicità del popolo tedesco

Non è un mistero che un’ideologia, per sopravvivere, ha bisogno di consenso. Ma quando quel consenso si ottiene attraverso il controllo capillare delle menti, il confine tra accettazione e manipolazione si fa sottile. La Germania nazista fu un laboratorio perfetto di condizionamento di massa. Non servivano solo le armi, serviva costruire un pensiero unico, soffocando il dissenso prima ancora che potesse nascere.

Dalla cattedra di un professore alle pagine di un giornale, dai palchi delle adunate fino ai banchi di scuola, la propaganda era ovunque. Ogni parola, ogni immagine, ogni discorso aveva un obiettivo preciso: creare una realtà fittizia in cui il regime appariva come l’unica via possibile. I tedeschi vedevano crescere la propria nazione, vedevano il lavoro tornare, i salari aumentare, il benessere tornare dopo anni di stenti e il prestigio del Paese risollevarsi dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale. E quando un popolo affamato si trova improvvisamente con il piatto pieno, è più facile che chiuda gli occhi su come quel cibo sia arrivato sulla tavola.

Ma c’era di più. La paura era il collante che teneva tutto insieme. Chi alzava la testa, chi osava dubitare, chi non applaudiva abbastanza forte rischiava di sparire, inghiottito nel buio di una cella o spedito nei campi di rieducazione. La gente imparò a tacere, a non fare domande, a non guardare oltre la cortina di fumo che avvolgeva le atrocità del regime. Il terrore diventò abitudine, il silenzio una forma di autoconservazione.

Eppure, le voci circolavano. Si sapeva, ma si faceva finta di non sapere. I treni che partivano carichi di uomini, donne e bambini diretti verso l’ignoto non passavano inosservati. I racconti dei soldati in licenza, le dicerie sussurrate nei mercati, le lettere giunte dal fronte, tutto suggeriva che dietro il velo della propaganda si stesse consumando qualcosa di spaventoso. Ma l’apparato nazista aveva costruito una società in cui anche il solo porsi delle domande poteva diventare un pericolo. E così, mentre la macchina della morte girava senza sosta, molti si limitarono a guardare altrove.

Le SS e il culto della ferocia: uomini forgiati per uccidere

Se il Terzo Reich aveva bisogno del consenso del popolo, per eseguire gli ordini più atroci servivano uomini disposti a tutto. Non semplici soldati, ma esecutori addestrati a spegnere ogni empatia, a considerare l’orrore una semplice routine. Le SS nacquero con questo scopo: trasformare uomini comuni in strumenti di morte.

Non si entrava a far parte di questa macchina infernale per caso. Bisognava incarnare l’ideale del perfetto tedesco, essere alti, sani, puri di sangue. Il matrimonio? Concesso solo dopo un’attenta selezione genealogica. La famiglia stessa diventava un’estensione del Reich. Un’istituzione controllata, studiata, approvata. Un uomo delle SS non apparteneva a sé stesso, ma al progetto nazista.

Ma non bastava la selezione. Bisognava eliminare ogni residuo di umanità. L’addestramento non si limitava alle armi. Ogni recluta veniva sottoposta a una costante opera di disumanizzazione. Nessuna debolezza era tollerataNessuna esitazione era ammessa. Uccidere, punire, torturare: il dolore altrui doveva diventare irrilevante.

E così, giorno dopo giorno, il sangue versato non era più un crimine, ma un dovere. Fucilare, deportare, sterminare: tutto eseguito con disciplina ferrea, senza domande, senza esitazioni. Anzi, per molti, quasi con orgoglio. Un’aberrazione della mente umana, dove la crudeltà diventava una virtù e il fanatismo l’unica legge.

Fu questo esercito di spietati carnefici a rendere possibile il genocidio. Le SS non furono solo il braccio armato del nazismo: furono il suo cuore pulsante, il suo ingranaggio perfetto. Senza di loro, la follia di Hitler sarebbe rimasta solo un’idea.

Verità scomode della II guerra mondiale

5 Marzo 2025

Recensione de il giornale di Vicenza (Online) (PDF)

Storie scomode della Seconda Guerra Mondiale: le donne vittime silenziose del conflitto

Le guerre si vincono sul campo e si raccontano sulla carta dei vincitori. Tra le pieghe del Secondo Conflitto Mondiale, c’è un capitolo scritto con il sangue e il silenzio delle donne. Un capitolo che non trova spazio nei manuali scolastici, troppo scomodo, troppo brutale, troppo vero.

Si celebrano gli eroi, si glorificano le battaglie, si elencano i trattati di pace. Ma chi parla di loro? Di quelle donne trascinate via, ridotte a merce di scambio, usate e poi gettate via come vestiti logori? I vincitori si spartivano il mondo, mentre loro perdevano tutto: la dignità, la libertà, il diritto di esistere senza essere un corpo su cui sfogare frustrazione e violenza.

C’è chi queste storie le ha raccolte, ricostruite, riportate alla luce. Le Scomode Verità Nascoste nella II Guerra Mondiale dello storico Vincenzo Di Michele non è un libro per chi cerca rassicurazioni. È una lettura che brucia, che smonta certezze, che costringe a guardare negli occhi una realtà troppo a lungo insabbiata. Non è solo Storia, è Controstoria. Da questo libro abbiamo estratto alcune verità scomode che meritano di essere raccontate e tramandate.

Prostitute, schiave e vittime di un sistema spietato

La Seconda Guerra Mondiale non è stata solo trincee e bombardamenti, ma un teatro di atrocità dove i corpi delle donne diventavano bottino di guerra. Nessuno si tirava indietro. Nazisti, giapponesi, alleati… tutti, in un modo o nell’altro, si sono sporcati le mani.

I bordelli militari non erano certo una novità, ma quello che accadde tra il 1939 e il 1945 superò ogni limite. Le prostitute non erano più persone, ma strumenti di controllo, oggetti di piacere per uomini che marciavano con un’idea di purezza razziale in testa e una brutalità senza confini nelle vene. In Germania, i soldati erano obbligati a usare il preservativo, subivano controlli sanitari e persino iniezioni disinfettanti nei genitali. Le donne, invece, venivano lasciate a marcire, condannate a una vita di sfruttamento e malattie.

La Polonia divenne un mattatoio. Le donne polacche erano considerate inferiori, dunque qualsiasi violenza su di loro non era solo permessa, ma incoraggiata. Abusi di gruppo, rastrellamenti, torture. C’erano regole non scritte: se una donna veniva infettata da una malattia venerea, la sua vita non valeva più niente. Nella città di Bromberg, 38 prostitute vennero massacrate in un solo giorno. Troppo rischioso curarle. Troppo pericoloso lasciarle in vita. Un problema da risolvere con una pallottola in testa.

E poi c’erano gli esperimenti. Corpi femminili usati come cavie per testare ogni tipo di aberrazione. Alcune venivano sterilizzate senza anestesia, altre venivano infettate deliberatamente per studiare gli effetti delle malattie. Un laboratorio di orrori, una discesa negli abissi più profondi della crudeltà umana.

Senza ombra di dubbio, la guerra non è mai stata solo una questione di armi. È stata, prima di tutto, una macchina che ha divorato tutto ciò che trovava sul suo cammino. E tra le sue vittime più dimenticate ci sono loro: donne che non combatterono mai, ma che furono sconfitte ogni giorno, senza mai avere possibilità di arrendersi.

L’orrore sul fronte orientale e i bordelli militari giapponesi

Se l’inferno avesse avuto un volto, avrebbe portato il nome delle “donne di conforto“. Un’espressione grottesca, un paravento lessicale dietro cui si nascondeva un sistema mostruoso. Il Giappone non si limitò a invadere territori, ma razziò anche i corpi delle donne, trasformandoli in strumenti di piacere per i suoi soldati.

Era un progetto studiato a tavolino. L’esercito imperiale non poteva permettersi troppi stupri casuali: il rischio era che l’odio delle popolazioni locali esplodesse in ribellioni incontrollabili. Meglio “organizzare” la questione. Così nacquero i bordelli militari, disseminati nei territori occupati. Più di 200.000 donne furono ingannate, strappate alle loro case con false promesse di lavoro. Fabbriche? Servizi domestici? Nulla di tutto questo. Una volta arrivate a destinazione, venivano incarcerate e costrette a subire decine di abusi al giorno.

Nessuna speranza di fuga, nessuna possibilità di rifiutarsi. Le porte dei bordelli si aprivano solo per lasciar entrare nuovi soldati. I dottori dell’esercito giapponese passavano per controlli sanitari, ma non erano lì per aiutare. Molte di loro furono abusate persino dai medici, vittime di un circolo vizioso senza via d’uscita.

C’erano poi i rastrellamenti nelle campagne. I comandi militari pretendevano che i governanti locali fornissero donne ai soldati, come fossero parte del bottino di guerra, alla stregua di armi e rifornimenti. Per chi cercava di ribellarsi, la punizione era immediata. Uccisioni sommarie, torture, rappresaglie sulle famiglie.

E chi sopravviveva? Le cicatrici non erano solo nel corpo, ma nell’anima. Alcune persero la fertilità a causa degli abusi ripetuti e delle malattie. Molte morirono nel silenzio. Quelle che riuscirono a tornare a casa si trovarono davanti un altro nemico: l’emarginazione. Nessuno voleva ascoltare le loro storie. Nessuno voleva riconoscere la loro sofferenza.

La disperazione delle donne tedesche nel dopoguerra

La guerra si era conclusa, ma per molte donne tedesche un incubo peggiore era appena cominciato. Le città ridotte in macerie, gli uomini falciati al fronte, la fame che divorava le strade. E poi c’erano loro: le sopravvissute, lasciate sole a ricostruire, con nulla in mano e troppo da dimenticare.

Ma il bisogno non lascia scelta. Chi aveva figli da sfamare non poteva permettersi il lusso dell’orgoglio. Non si trattava più di patriottismo, né di politica. Era la fame a dettare le regole. Così, mentre i vincitori marciavano per Berlino con le loro divise immacolate, le donne tedesche imparavano che la loro unica moneta di scambio era il proprio corpo.

Non servivano trattative, né promesse. Calze di nylon, qualche sigaretta, un pezzo di cioccolato. Tanto bastava. Gli Alleati distribuivano preservativi, ma la realtà non si fermava alla propaganda. Le gravidanze aumentavano. Gli aborti clandestini mietevano vittime quanto le bombe. Alcune morivano dissanguate, altre lasciavano i neonati nei vicoli, sperando che qualcuno li trovasse prima dei topi.

E poi c’era il disprezzo. Quelle donne non erano vittime, non nella narrazione ufficiale. Erano “puttane del nemico”, marchiate con un’etichetta che non si sarebbe più scollata di dosso. Le famiglie le ripudiavano, le comunità le isolavano. Nessuno si chiedeva cosa significasse trovarsi in quella posizione. Nessuno voleva sapere. Il giudizio era più facile della comprensione.

Le violenze sulle donne italiane: la tragedia dimenticata

Le violenze subite dalle donne italiane per mano delle truppe coloniali francesi rappresentano una delle pagine più oscure del dopoguerra. Un’ombra lunga, silenziosa, soffocata dal pudore e dalla paura.

Tutto iniziò nel 1943, con l’avanzata degli Alleati lungo la penisola. A fianco degli eserciti che promettevano la liberazione, c’erano loro: i reparti marocchini dell’esercito francese, soldati senza regole, uomini lasciati liberi di sfogare i propri istinti su un popolo che non aveva più nulla con cui difendersi. Arrivati in Ciociaria, si trasformarono in predatori. Paesi interi vennero saccheggiati, uomini uccisi, donne stuprate senza pietà.

A Esperia, una cittadina ridotta in cenere dalla guerra, 700 donne furono violentate in pochi giorni. Madri, figlie, bambine. A Vallemaio, due sorelle e un’anziana di sessant’anni vennero costrette a soddisfare un intero plotone di soldati. Chi cercava di difendersi finiva massacrato. Chi non cedeva subito veniva preso con la forza. Nessuno era al sicuro.

Il fenomeno fu così vasto che servì persino un nome per definirlo: “le marocchinate”. Un termine che racchiude anni di dolore, famiglie distrutte, esistenze segnate per sempre. Molte donne rimasero incinte, ma nessuno era disposto ad accettare quei figli. Gli aborti clandestini si moltiplicarono, le malattie veneree si diffusero come un’epidemia. Chi sopravvisse portò dentro di sé ferite invisibili, ma impossibili da rimarginare.

Questa non fu una semplice “conseguenza della guerra”. Fu un crimine taciuto, accettato, quasi giustificato. I comandi francesi lo sapevano, gli alleati ne erano consapevoli, ma nessuno mosse un dito. Qualcuno cercò di fermarli, ma venne zittito in fretta. I soldati avevano vinto una battaglia dura, e per loro lo stupro era parte del premio.

Senza ombra di dubbio, il silenzio è stato il secondo crimine commesso contro queste donne. La guerra è finita, ma per loro la giustizia non è mai arrivata. Solo dolore, vergogna e la certezza di essere state abbandonate.

LE SCOMODE VERITÀ – Recensione di Giuseppe Lalli giornalista al libro “Le scomode verità nella II Guerra mondiale” di Vincenzo di Michele

22 Marzo 2024

LE SCOMODE VERITÀ DI VINCENZO DI MICHELE

di Giuseppe Lalli

Vincenzo Di Michele, già autore di successo di libri come Io, prigioniero in Russia, Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso, L’ultimo segreto di Mussolini, Cefalonia, io e la mia storia, Alla ricerca dei dispersi in guerra, per citarne solo alcuni, ci presenta la sua ultima fatica di ricercatore instancabile di episodi dell’ultima guerra mondiale, dramma che ha segnato due generazioni di italiani, quella dei nostri padri e quella dei nostri nonni, e i cui echi terribili ancora non si spengono. Le scomode verità nascoste nella II guerra mondiale è il titolo del libro, composto di undici brevi ma densi capitoli, appena pubblicato per i tipi di Edizioni Vincenzo Di Michele.

Nel libro, accanto ad episodi già noti e controversi (come la complicità, che l’autore ipotizza con argomenti convincenti, tra i comandi italiani e quelli tedeschi in ordine alla rocambolesca liberazione di Mussolini prigioniero sul Gran Sasso il 12 settembre del 1943, nel contesto di una nazione allo sbando; o la tragedia, di poco posteriore, dei soldati italiani a Cefalonia all’indomani dell’armistizio di Cassibile, un eccidio immane di migliaia di soldati per la maggior parte poco più che ventenni che a giudizio di Di Michele, a dispetto di una certa retorica fiorita sul terribile episodio, «si poteva e doveva evitare »; o la sorte dei soldati in Russia, che l’autore del libro presenta come una pagina rimossa della storia nazionale), trovano posto argomenti scottanti e che mettono a dura prova il giudizio morale, come quando l’autore, al di là delle dirette  responsabilità dei gerarchi nazisti, invita il popolo tedesco stesso a fare i conti con la propria coscienza; o quando non esita a mettere sul banco degli imputati il governo americano per lo sgancio, nell’agosto 1945, delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che provocarono  la morte istantanea di più di centomila persone e una scia di effetti collaterali sui sopravvissuti che durarono anni.

Un’ecatombe che Di Michele assimila ai crimini contro l’umanità, che si poteva, a suo parere, evitare e che, ben al di là delle esigenze strategiche contingenti, ai vertici politici e militari americani apparve utile – egli asserisce – come ostentazione di una potenza devastante da usare come deterrente nei confronti di futuri potenziali avversari.

Nella maggior parte del libro l’autore sciorina davanti ai nostri occhi una galleria degli orrori che lascia il lettore col fiato sospeso. Nel primo capitolo si parla delle donne schiavizzate dai nazisti e in particolare dell’atteggiamento sprezzante nei riguardi delle prostitute polacche. 

Sul fronte orientale – si legge in una delle prime pagine – i tedeschi violentarono le donne russe […] (e) in Ucraina e Bielorussia rastrellarono e sterilizzarono le giovani donne e poi le assoldarono per soddisfare i desideri sessuali del loro esercito.

Si apprende che nella stessa Germania, ridotta a fine conflitto in un immenso campo di macerie, con milioni di morti e pochi uomini giovani sopravvissuti, molte furono le donne tedesche che,

…pur di dare un sostegno economico ai lori figli, intrapresero relazioni sessuali con i soldati delle forze alleate. Ragazze, vedove furono costrette a prostituirsi in cambio di soldi, calze, cioccolato, vari altri generi alimentari e capi di abbigliamento.

Accanto a sconosciute storie di ordinaria disumanità da parte dei nazisti (esperimenti, come quelli di Josef Mengele, che nulla avevano di scientifico e molto di gratuita malvagità), l’autore non manca di denunciare esperimenti spregiudicati su animali anche da parte degli eserciti alleati.

Nello scritto, tra il molto altro, si nomina di passaggio Adolf Eichmann, il “burocrate dello sterminio” catturato dai servizi israeliani e giustiziato, vicenda che ispirò alla filosofa Hannah Arendt  il libro La banalità del male; si parla di Matthias  Defregger, capitano della Wehrmacht, diventato poi vescovo, coinvolto nel giugno 1944, nella sua qualità di comandante, nell’eccidio di Filetto, frazione dell’Aquila, di cui ricorrono quest’anno ottanta anni; si rievoca la misteriosa scomparsa dello scienziato Ettore Majorana, avvenuta a fine marzo 1938.

E poi, a margine di tragedie che in parte si conoscevano, ci sono vicende meno note, drammi non conosciuti nella loro effettiva dimensione e spesso di raccapricciante gravità, anche a carico di soldati degli eserciti di liberazione, fatti che l’autore asserisce essere noti ai comandi alleati, come quello degli stupri praticati, anche nei territori italiani, dai marocchini, truppe assoldate dall’esercito francese.

Un quadro agghiacciante quello che descrive Di Michele. Quasi si stenta a credere di quanta disumanità sia capace il genere umano. L’impressione che si ricava dalla lettura di queste pagine è che la seconda guerra mondiale ha visto l’intelligenza al servizio del male come mai era accaduto nella storia della civiltà umana, e tutto questo è potuto avvenire nel cuore della civile Europa.

Le categorie economiche e gli stessi concetti filosofici sono insufficienti a spiegare tanto abominio, tanto spregio della persona umana. Lo stesso credente ha voglia di gridare: Dio, dov’eri?  «Questa non è guerra, questa è… un’altra cosa, noi non lo possiamo capire » diceva Eduardo De Filippo riferendosi alla seconda guerra mondiale in una sua celebre commedia, interpretando la parte un padre di famiglia napoletano richiamato alle armi, e concludeva il suo appassionato racconto dicendo, quasi implorando, ai suoi: «Facciamo il bene! Facciamo il bene!». C’è da chiedersi, di fronte ai tanti tamburi di guerra che risuonano nel mondo e nel cuore stesso del nostro continente, in che misura l’umanità abbia appresa la tremenda lezione del secondo conflitto mondiale.

È un libro, quest’ultimo lavoro di Vincenzo Di Michele, che fa riflettere, e rispetto al quale non si può rimanere indifferenti. Una compassione, che a tratti diventa sdegno, percorre tutte le pagine. È prima di tutto un atto d’accusa nei confronti della guerra, anche quella apparentemente giusta, che si porta dietro un carico enorme di disumanità, e finisce per far apparire assai labile il confine stesso degli umani sentimenti.

Lo scritto di Di Michele evoca altresì una dinamica che vediamo agire, con maggiore o minore intensità, alla fine di ogni guerra, che è sempre, a ben riflettere, guerra civile, perché interna al genere umano: la comprensibile esigenza di giustizia finisce per confondersi con il desiderio della vendetta, e gli oppressi di ieri possono diventare gli oppressori di domani, come lucidamente ammoniva Simone Weil.

Un’altra amara verità emerge dalla lettura di queste pagine, che ha a che fare con quelle che Giambattista Vico, nella Scienza nuova, chiama «boria delle nazioni» e «boria dei dotti», tendenze assai ricorrenti nella storia e a cui non sfugge di certo il secolo che ci siamo lasciati alle spalle: l’idea che ad una nazione sia assegnato dagli dei o da Dio una missione da compiere (da qui le piazze inneggianti e i sacerdoti benedicenti); mentre i “dotti” di Vico sono stati, nel Novecento, tutti quei professionisti del consenso adusi a servire con la loro penna il dittatore di turno, nonché tutti quegli intellettuali propensi a mettere tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra.

Vincenzo Di Michele non guarda in faccia a nessuno: dove vede il male lo denuncia e lo documenta, attenendosi alla più scrupolosa verità dei fatti (verum-factum, per rimanere a Vico). Del resto, chi, che non muova da una preconcetta visione ideologica, può negare che il chiaroscuro è il colore dominante nella storia della vicenda umana?

Questi pensieri ed altri si ricavano dall’interessante scritto di Di Michele, dal quale si apprendono molte altre notizie che non si conoscevano e che al lettore non vanno anticipate. Il libro è di lettura assai scorrevole: una prosa scarna ed efficace come i fatti che vi si raccontano, a tratti incalzante, sempre chiara, realistica e aliena da ogni pedanteria.

 

I DRAMMI TERRIBILI DELLE GUERRE – Recensione di Franco Presicci giornalista del giornale ” IL GIORNO” al libro “Le scomode verità nella II Guerra mondiale” di Vincenzo di Michele

14 Marzo 2024

I DRAMMI TERRIBILI DELLE GUERRE

Recensione al libro Le scomode verità nella II Guerra mondiale, di Vincenzo Di Michele

di Franco Presicci

MILANO – La guerra non è un’avventura, come qualcuno ha sentenziato. Non è un’esperienza di vita. La guerra sconvolge uomini e paesi, li incenerisce, li annienta. La guerra lascia ferite e traumi che non si dimenticano più. Il tuono delle bombe, il sibilo delle sirene, le corse ai rifugi antiaerei, le maschere antigas per i capi fabbricato, i pali messi a sostenere i soffitti dei pianterreni per evitare che un ordigno li faccia sprofondare, la paura, il terrore, gli urli delle mamme, i pianti dei bambini, il coprifuoco, le tessere annonarie, le fucilate contro persone innocue, gli stupri. Sentii dire che la guerra ha una funzione economica, anche perché disincrementa le nascite e assottiglia le popolazioni. Cinismo, disumanità, ignoranza, e magari interesse in chi durante la guerra fa lievitare il conto in banca.

Ho novant’anni e negli anni della guerra ero in grado di assimilare ciò che stava succedendo. Con i miei familiari ero sfollato a Martina Franca, dove arrivavano le voci dei disastri, tutte inquietanti, ansiogene. E dal piazzale del trullo la notte potevamo vedere l’orizzonte che s’infiammava. Lì c’era Taranto. Da bambini ci dicevano: arrivano gli americani, i liberatori, chissà se passeranno da qui; e se lo fanno che sarà di noi? Sarà un bene o un male? I tedeschi, passati da alleati a nemici, evacuavano, facendo altre distruzione, altri morti, altri feriti: per dispetto, per rabbia, per crudeltà.

Gli americani ci “regalarono” prima le bombe, poi le chewing gum, la cioccolata, le sigarette Lucky strike, il woogie boogie. Alcuni sposarono le nostre donne, altri le lasciarono spegnendo in loro il sogno americano, altre vennero stuprate e lasciate sulla strada. Ricordo la borsa nera, il pane razionato, gli ordigni atomici su Hiroshima e Nagasaki … Terminato il conflitto, la gente sentì il bisogno di distrarsi, di dimenticare, di disperdere l’angoscia, affollando le balere. Dimenticò davvero?

Poi abbiamo vissuto quasi 80 anni di pace, con l’illusione che mai più l’uomo avrebbe perduto i lumi della ragione. E invece ci ritroviamo nell’inferno con l’Ucraina quasi rasa al suolo e la striscia di Gaza infiammata, con la tregua che balugina tra un giorno e l’altro, insanguinati. La televisione manda immagini terrificanti: palazzi crollati, sventrati, scheletri di cemento, gigantesche macerie su migliaia di vittime, che i superstiti bagnano di lacrime. Ci domandiamo con paura: E se questa follia coinvolge altri Paesi? E se un potente fuori di testa, andando oltre le minacce, decide di sganciare la bomba atomica? Sarebbe l’apocalisse.

L’uomo dissolve ciò che tocca. Chi odia la guerra e chi la teme sono impotenti, indignati, terrorizzati, disgustati nel vedere chi ordina la distruzione di massa sorridere davanti alle telecamere fra le mimose, simbolo di delicatezza, virtù delle donne, di riscatto da una condizione di ingiusta inferiorità. Che c’entra con la mimosa l’uomo che annulla un Paese con disumana freddezza? E gli altri? Hanno le loro colpe.

L’abbiamo già vissuta la guerra in casa: non vorremmo che proseguisse, sconfinasse, accrescendo i lutti e il dolore. Immagino la sorpresa di Arrigo Benedetti quando entrò a Tombolo e incontrò i contadini che si tenevano lontano dai campi che erano stati minati; e nelle baracche degli Alleati erano ammonticchiati farina, birra in scatola, pizza preconfezionata, zucchero…

Curzio Malaparte, futuro autore de “La pelle” (uscirà nel ‘49), descrisse i drammi di Napoli tra “segnorine” e sciuscià, fame, miseria, disastri, tormenti, una città meravigliosa, quasi unica, sconvolta. A Livorno i tedeschi disseminarono le strade di penne stilografiche e altri oggetti trasformati in ordigni che strapparono dita o mani o gambe, la vita a chi ebbe l’imprudenza di toccarli. La cattiveria, la brutalità fatte persona. Oltre a Napoli, Palermo, Roma, Pescara, Livorno… bombardate. A Milano la pioggia di fuoco mutilò la Scala, la Galleria Vittorio Emanuele, piazza San Fedele, demolì una scuola elementare a Greco, facendo un centinaio di morti. Ricordi non in ordine di data, ma lancinanti.

A scatenare la memoria non sono stati soltanto i conflitti in Ucraina e nella striscia di Gaza, ma anche un libro di Vincenzo Di Michele intitolato “Le scomode verità nascoste nella seconda guerra mondiale” (Edizioni Vincenzo Di Michele, Roma, 2024), interessante, stile limpido, scorrevole. Di verità nascoste ce ne sono state davvero tante. Un esempio? Le foibe. Occultate per anni. Migliaia di corpi gettati negli anfratti, nelle grotte per sottrarli alla scoperta. Quante donne sono state violentate nella seconda guerra mondiale, in casa, in strada, ovunque. Quanti soprusi sono stati perpetrati contro le donne, ridotte allo stato di schiave anche nei posti di lavoro.

 

Sul fronte orientale i tedeschi violentarono le donne russe, mentre in Ucraina e Bielorussia rastrellarono e sterilizzarono le giovani donne e poi le assoldarono per soddisfare i desideri sessuali del loro esercito… La Germania era totalmente distrutta e in una situazione di grave indigenza”. Pagine crude, senza voli stilistici. Si inoltrano nei crimini nazisti, negli orrori dei campi di concentramento, dove la vita non aveva alcun valore, dove l’annientamento di massa era fatto sistematicamente: una vita si trasformava in fumo che usciva dai comignoli dei forni crematori. “Tu passerai per il camino”. E migliaia di esseri umani ci passarono.

Di Michele dà spazio ai racconti delle donne ebree che sono riuscite a salvarsi dai campi recintati col fil di ferro spinato, con ferite sul corpo e nell’anima che non si cancelleranno mai. “Avrei voluto essere un cane, perché ai nazisti piacevano i cani”. I tedeschi non avevano una coscienza o un barlume di ragione… Consideravano subumani i prigionieri: “tutti esseri deboli, fisicamente tarati e sempre con le mani alzate in segno di resa, perennemente propensi alla sconfitta e al pianto”.

Nel loro comportamento squilibrato i soldati di Hitler non facevano altro che infliggere violenze e umiliazioni. “Aizzavano i cani che mordevano i genitali agli uomini e il seno alle donne. A seguire premiavano queste bestie con carezze e coccole in maniera smisurata”. Uomini e donne per la fame e le scudisciate erano scheletri con gli occhi infossati. Uomini e donne, persone, certi di non sopravvivere fino al giorno dopo. I racconti di chi ce l’ha fatta sono tremendi. Umiliante è il numero che portano ancora sul braccio: numero che sta a testimoniare la condizione in cui erano ridotti: un numero e basta. Senza un nome. Senza più una storia. Fantasmi in cammino, chi aveva ancora la forza di muovere le gambe per fare un passo.

 

Alla fine della guerra, davanti ai tribunali i responsabili di questi crimini si difesero dicendo che avevano obbedito agli ordini. Questo li assolve? Kappler fuggì dal Celio, un giorno di agosto. Forse raggomitolato in una valigia? L’ipotesi s’impose. Ma chi fu complice della fuga? Erich Priebke anche dinanzi al tribunale mantenne la sua boria senza allentarla un momento, sicuro di aver operato bene. Almeno così quando lo si vedeva comparire sul piccolo schermo. Chi è stato complice delle fughe dei nazisti che dovevano rendere conto delle loro azioni? Di Michele risponde senza esitazioni, senza dubbi.

C’è un uomo – lo ricorda anche Di Michele – che tenacemente, instancabilmente, cercò ovunque i criminali nazisti, acciuffandone non pochi. Si chiamava Simon Wiesenthal, ed era stato liberato dagli alleati nel maggio del ‘45 dal campo di sterminio di Mauthausen. Di Michele incalza. Episodio dopo episodio, storia dopo storia. Compresa quella della scomparsa di Ettore Majorana, il fisico scomparso la sera del 25 marzo ‘38, a 31 anni. Era molto stimato da Enrico Fermi, che scrisse al duce per sollecitarne la ricerca.

ll libro contiene anche una serie di immagini, tra cui quelle terribili delle bombe su Hiroshima (il 6 agosto) e su Nagasaki (il 9) del 1945. Scorrono anche quelle di Pierre e Marie Curie nel loro laboratorio all’Istituto di Fisica e Chimica di Parigi, e scene sulle brutalità della guerra. Ce n’è abbastanza. Speriamo di non vedere più affisso sui muri il manifesto con la scritta “Tacete, il nemico vi ascolta”. E speriamo di non vedere più nemmeno la foto della donna anziana vestita di nero che si aggira tra le macerie del suo paese.

Milano, 10 marzo 2024

Le scomode verità nascoste nella II guerra mondiale

13 Gennaio 2024
Il nuovo libro di Vincenzo Di Michele
Recensione dello storico Giuseppe Lalli nella rivista Italiani nel Mondo

Recensione de il giornale di Vicenza

Recensione de il giornale di Bergamo

Vincenzo Di MicheleDurante il secondo conflitto mondiale, i militari erano costretti all’utilizzo del preservativo e a subire cure mediche, compresa una soluzione disinfettante applicata nella zona genitale. Al contrario, le donne erano considerate semplici oggetti da sfruttare.

Durante il massacro degli ebrei, i soldati al servizio di Hitler si giustificarono in modo ignobile affermando: “Ho solamente seguito gli ordini”. Al tempo stesso, l’intera popolazione tedesca abbassò lo sguardo, rifiutandosi di vedere la realtà. Una donna sopravvissuta ai campi di concentramento raccontò: “Avrei preferito essere trattata come un cane. Ci incitavano ad attaccare e ci morsicavano genitali e seno, ricevendo poi eccessive dimostrazioni di affetto e carezze come ricompensa”.

Il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki è stato una decisione imprudente, pianificata e disastrosa da parte dell’esercito americano. Questa minoranza al potere ha rifiutato di considerare alternative valide proposte da una vasta maggioranza di persone ragionevoli, tra cui scienziati e figure di spicco.

Inoltre, emergono altre verità scomode, come la misteriosa scomparsa dello scienziato italiano Ettore Majorana, consapevole del grave pericolo legato all’arma atomica, e la complicità del governo statunitense nella fuga dei criminali nazisti, inclusi i loro scienziati. L’impiego di questi ultimi da parte degli Stati Uniti è stato uno strumento nella prossima lotta tra gli USA e l’URSS nell’era della guerra fredda.

Copertina le scomode verità nascoste nella II guerra mondiale (PDF)
Recensioni “Le scomode verità nascoste nella II Guerra Mondiale” (PDF)
Recensione de il giornale di Vicenza (PDF)
Recensione de il giornale di Bergamo (PDF)

Il racconto del capitano della Lazio su Franz Beckenbauer nella loro esperienza calcistica al Cosmos, dal libro di Vincenzo Di Michele: “Pino Wilson vero capitano d’altri tempi”

11 Gennaio 2024

Vincenzo Di MicheleArrivai al Cosmos all’età di 33 anni, nel pieno della mia maturità calcistica. Appartenendo a una squadra di vertice del campionato e avendo giocato in Nazionale e anche ai mondiali del ’74, pensavo in quei tempi, di aver oramai raggiunto il mio apice calcistico. Invece fu proprio  il campo a smentirmi grazie al  contatto gomito a gomito con quei campioni, ogni giorno negli allenamenti. Pelé: una storia a parte. Ogni volta che arrivava al campo, con umiltà e dedizione si metteva a palleggiare per più di un’ora. Vedevi quella palla accarezzata e coccolata dai suoi piedi che prendeva traiettorie funamboliche. Per non parlare della tecnica e della potenza balistica di Carlos Alberto, il capitano della Nazionale brasiliana campione del mondo nel 1970 in Messico. Però il giocatore che mi diede la possibilità di arricchire ulteriormente il mio bagaglio tecnico,poiché giocava nel mio stesso ruolo, è stato proprio Franz Beckenbauer. Con lui affinai la chiave di lettura dell’azione in via anticipata giacché la sua notevole intelligenza tattica, gli permetteva una visuale di ampio raggio.

A proposito di Beckenbauer, come non raccontare questa storia?

In quel campionato, non giocai nella mia solita posizione. Del resto,nel ruolo di libero non giocava uno qualsiasi, bensì un certo Franz Beckenbauer. Quel giorno si  giocava una partita decisiva per l’ assegnazione del titolo. Faceva molto caldo e faticavamo molto in campo e le energie venivano sempre meno. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, dopo una prima parte della gara giocata in maniera pessima della nostra squadra, mi avvicinai a Chinaglia e gli dissi che Beckenbauer era in giornata no. Praticamente,la sua prestazione stava condizionando negativamente l’andamento di tutta la squadra. Appresa la mia comunicazione, Giorgio dapprima mi guardò un po’ perplesso, poi replicò:
“Ma sei sicuro?”.

Gli risposi: “Certo che sì!”. Quindi, si allontanò.

Dopo circa un minuto lo vidi mentre si defilava in un colloquio appartato con l’allenatore Eddie Firmani. Udii solamente Chinaglia che testualmente stava così ribattendo al nostro allenatore, in modo imperioso: “Sì! Il tedesco! Hai capito bene! Deve uscire il tedesco!”. Come rientrammo in
campo, notai che Beckenbauer era stato sostituito. Fortunatamente nel secondo tempo la partita si tramutò positivamente e la vincemmo, ma non ho ancora il coraggio di pensare alla possibile reazione di Chinaglia e a tutte le conseguenze per via di quella forzata esclusione di Beckenbauer, nel caso l’avessimo persa.

Grazie Pino, il tuo ricordo continua a vivere nei tuoi racconti

Vincenzo Di Michele

Copertina e retrocopertina libro Pino Wilson

Copertina e retrocopertina libro Pino Wilson

Il 16 luglio 2021 alle ore 18 Vincenzo Di Michele al Castello Caetani di Trevi nel Lazio, presenta la II edizione del Premio Mario Mariozzi

14 Luglio 2021


Il 16 luglio 2021 alle ore 18  Vincenzo Di Michele al Castello Caetani di Trevi nel Lazio,  presenta la II edizione del Premio Mario Mariozzi

IL Pallone nel cuore , l’uomo e le storie  nella II edizione del premio Mario Mariozzi.

Con la partecipazione di Francesco Repice (radiocronista RAI) Giuseppe Incocciati (tecnico ed ex calciatore Milan e Napoli), Maurizio Stirpe ( Presidente del Frosinone), Massimo Pulcinelli (Presidente dell’Ascoli),  Giacomo Faticanti ( calciatore as Roma) Americo Mancini (giornalista gr1 RAI).

Interverrà Antonio Tajani, Presidente della Commissione per gli Affari Costituzionali Del Parlamento europeo

Presenterà l’evento lo scrittore Vincenzo Di Michele e l’appuntamento è fissato per venerdì 16 Luglio al Castello Caetani di Trevi nel Lazio,

Novità editoriale – La nuova versione del libro “Io prigioniero in Russia” con oltre 55.000 copie vendute e vincitore di premi storici è stata pubblicata con Edizioni Vincenzo Di Michele

12 Luglio 2021
Nel suo diario autografo un giovane alpino della divisione
Julia racconta la sua cruda avventura durante la seconda
guerra mondiale. La sua infanzia; la partenza in guerra; la
prima linea in battaglia con i russi che ubriachi di vodka si
gettavano con ferocia all’assalto frontale contro le truppe
italiane; la marcia verso i campi di concentramento e la
lunga permanenza nei gulag sovietici e infine l’insperato
ritorno a casa dopo quattro duri anni.
 
GENNAIO 1943: IL mio ingresso al Campo di prigionia di TAMBOV
Se avessero scritto su un cartello all’ingresso di quel maledetto
lager,“Benvenuti all’inferno”, la realtà non sarebbe poi stata
tanto diversa. Nel periodo della mia permanenza a Tambov, che
va da gennaio 1943 a maggio del 1943, si riscontrò un tasso di
mortalità del 90%. Detto in parole povere, ogni cento uomini
che entrarono in quel campo, solo dieci e abbastanza malconci
rimasero indenni. “E anche io, malgrado tutte le disavventure,
sono stato tra quei fortunati baciati dalla sorte”.

 

Intervista di Lide magazine New York in esclusiva con Vincenzo Di Michele

28 Aprile 2021

Qui puoi leggere l’intervista

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