Le famiglie Italiane ancora piangono i Loro cari dispersi in Russia

La ritirata, i corpi mai ritrovati, le lettere mai arrivate, i lager sovietici e le fosse comuni: Migliaia e migliaia di soldati dissolti nel nulla

Tra le vicende più oscure della Seconda Guerra Mondiale si nasconde una pagina troppo poco raccontata, un dramma collettivo coperto da silenzi e polvere ideologica: quello degli italiani sul fronte russo. Migliaia di uomini mandati al macello e poi dimenticati, perché la loro sorte si incrociava con il marchio indelebile di una guerra combattuta “dalla parte sbagliata”.

Il gelo della steppa fu solo il primo tradimento. La ritirata, i corpi mai ritrovati, le lettere mai arrivate, i volti mai tornati. Una tragedia che non ha avuto né medaglie né memoria ufficiale, solo oblio.

Eppure, come spesso accade, qualcuno ha deciso di raccontare ciò che per decenni è rimasto sottotraccia. La storia non è fatta solo dai vincitori, ma anche da chi ha il coraggio di riscriverla alla luce dei fatti. È da questo intento che nasce un’opera che affonda le mani in ciò che tanti preferiscono non ricordare: “IO, PRIGIONIERO IN RUSSIA” scritto dallo storico Vincenzo Di Michele è il libro che ci ha aiutato ad aprire gli occhi su questa vicenda, una fonte preziosa per comprendere pienamente gli orrori della seconda guerra mondiale.

Un fronte gelido e dimenticato: la partenza verso l’ignoto

Partirono con l’illusione di andare incontro a una missione gloriosa. Si raccontava che sarebbero bastati pochi mesi per riportare a casa una vittoria. Invece si ritrovarono in un inferno, un fronte tanto lontano quanto spietato, dove il gelo non era solo climatico, ma anche umano e politico.

Vennero arruolati migliaia di italiani, spediti al fronte orientale a combattere una guerra che non comprendevano fino in fondo. Alpini, artiglieri, carristi, fanti e volontari: un mosaico di storie, paure e speranze presto frantumate sotto il peso della realtà. Il fiume Don diventò una linea sottile tra la vita e la morte, mentre la neve inghiottiva i sogni e il tempo si cristallizzava nel freddo.

E l’Italia, troppo impegnata a riscrivere il proprio destino, lasciò che questi uomini cadessero nell’oblio prima ancora che nella neve.

Non era solo il freddo a uccidere

I soldati italiani in Russia affrontarono temperature che sfioravano i -40 gradi, con scarponi inadeguati per quei territori, uniformi leggere e razioni di cibo che non bastavano a sfamare neanche un cane randagio. Dormivano nella neve, marciavano tra i cadaveri, combattevano con armi inadatte contro un nemico implacabile e un freddo che non sembrava conoscere limiti.

Chi tornò parlò di campi disseminati di uomini morti congelati. Le voci dei sopravvissuti raccontano storie disconosciute dalla narrazione ufficiale: né eroi né martiri, solo uomini esausti.

La ritirata si lasciò dietro una scia di morte. I documenti li chiamano “dispersi”, ma molti furono semplicemente ignorati. Tante madri e mogli non ebbero una tomba su cui piangere i propri cari, per anni attesero speransose un possibile ritorno a casa, ma nessuno si presentò mai a portare buone notizie o la conferma di una perdita, solo silenzio.

Ricordare è un atto di giustizia

C’è una verità che non si trova nei manuali scolastici, ma che brucia nelle testimonianze raccolte tra i superstiti. Parole smarrite tra i ghiacci, che oggi tornano a farsi sentire grazie a chi ha scelto di riportarle alla luce. Le storie degli italiani in Russia non sono favole di guerra, ma fendenti di realtà.

C’erano ragazzi che non avevano ancora vent’anni, mandati al macello e abbandonati a se stessi. C’erano interi reparti dispersi nel nulla, come se la neve li avesse inghiottiti. E poi c’erano gli altri, quelli tornati ma mai veramente accolti, perché l’etichetta politica di “fascisti” aveva tolto loro il diritto alla sofferenza.

La guerra li aveva distrutti nel corpo e il dopoguerra finiti nello spirito. Non una medaglia, non un grazie, per i dispersi nemmeno una tomba.

Ricordarli oggi è un atto di giustizia, non solo storica ma umana.

Restituire la dignità a chi è stato dimenticato

Quando la Storia ufficiale tace, c’è bisogno di chi ha il coraggio di svelare verità troppo a lungo dimenticate. E questo è ciò che fa il libro “IO, PRIGIONIERO IN RUSSIA”, un’opera che non si limita a raccontare, ma scava, indaga, svela. Un lavoro che restituisce dignità a chi è stato dimenticato e porta alla luce vicende che, per troppo tempo, sono state nascoste sotto il tappeto della convenienza.

Si tratta di un’opera che mette il lettore davanti a uno specchio: quello della coscienza collettiva. Leggerlo è come aprire un cassetto chiuso da anni e trovare dentro verità che ancora fanno male, ma che hanno bisogno di essere guardate in faccia.

Un libro che si fa testimone. Un autore Vincenzo Di Michele che, da buon storico, si fa ponte tra ciò che è stato e ciò che ancora oggi ci riguarda.

 

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