Vincenzo Di Michele riceve il prestigioso premio Baiocco per la memoria storica
28/03/2009
Vincenzo Di Michele riceve il prestigioso premio Baiocco per la memoria storica (scarica il doc)
La vera storia di un alpino al fronte russo
Vincenzo Di Michele riceve il prestigioso premio Baiocco per la memoria storica
di Paolo Tolotti
Con “Io, prigioniero in Russia” l’autore Vincenzo Di Michele, basandosi sul diario del padre alpino sul fronte russo durante il secondo conflitto mondiale, ha consegnato alla memoria collettiva una pagina di storia italiana ed europea di grande interesse. Il 28 marzo 2009 l’autore ha ricevuto per questa biografia il premio Baiocco speciale per la memoria storica, consegnatogli alla presenza di tutte le autorità del XX Municipio presso la Torretta Valadier di Ponte Milvio. “Io, prigioniero in Russia” che ha già raggiunto le 10.000 copie vendute, è stato inoltre encomiato dal Presidente della Repubblica per la preziosa testimonianza storica.
Ma cosa ci si deve aspettare dalla lettura di questa biografia? Il lettore si trova subito immerso nell’atmosfera di un’Italia di ottant’anni fa, tra l’Appennino abruzzese e Roma, città nella quale Alfonso Di Michele, questo è il nome del protagonista, trascorre per motivi di studio una buona parte della propria giovinezza. Il paesaggio umano descritto con grande semplicità e immediatezza è quello di una famiglia italiana che con tenacia costruisce il proprio futuro attraverso quello dei propri figli.
Dal cuore della provincia abruzzese ha inizio il viaggio del giovanissimo alpino che nell’agosto del 1942, unite le proprie sorti a quelle dell’ARMIR, il corpo d’armata voluto da Benito Mussolini per invadere la Russia, attraversa l’Europa portandosi nella mente le promesse di una facile gloria e nel cuore il timore dell’ignoto, amplificato da una strana profezia che accompagnerà Alfonso lungo tutta la vita. La spedizione si rivela l’inizio di una vera e propria odissea che apre uno squarcio su una pagina di storia, raccontata però attraverso gli occhi dei suoi veri protagonisti: le migliaia di soldati che vi hanno preso parte. Proprio come sarebbe piaciuto al Tolstoj di “Guerra e Pace” o al Manzoni dei “Promessi Sposi”, sono gli occhi del soldato semplice Alfonso Di Michele a narrarci le manovre intorno al fiume Don del Battaglione L’Aquila della Divisione Julia, ad introdurci all’inesorabile logica della guerra basata su vincitori e vinti, a proiettarci quasi sul campo di battaglia insieme al nostro protagonista per renderci partecipi dei rapporti che si instaurano tra carcerieri e prigionieri e delle strategie di sopravvivenza messe in pratica da ragazzi di vent’anni che nel giro di poche settimane vengono strappati alle proprie famiglie, ai propri progetti e ai propri sogni per vedersi proiettati in una vicenda il cui esito appare subito tragicamente incerto. Si pensi che degli oltre 200.000 militari dell’ARMIR, 30.000 morirono nel corso dei combattimenti, 70.000 furono fatti prigionieri e di questi solo 10.000 fecero ritorno alle loro case: attraverso gli occhi del nostro protagonista se ne possono comprendere le ragioni come davanti alla pellicola di un film.
Alfonso insieme ai suoi sfortunati commilitoni viene trascinato a tappe forzate attraverso i boschi e le steppe della Russia immensa fino al lager di Tambov, dove la fame, il gelo intenso, la mancanza di igiene, le malattie sfiancano le forze residue del povero alpino che sfugge alla morte solo grazie all’incontro, imprevedibile quanto provvidenziale, di Antonio Cafiero, un compaesano partito per il fronte alcuni mesi prima di lui. Dopo il ricovero nell’ospedale di Bravoja in Siberia dove rischia l’amputazione delle gambe, viene trasferito nel campo di concentramento di Pakta Aral in Kazakistan. Secondo l’ideologia allora dominante in Russia, Alfonso viene assegnato a lavori pesanti e sottoposto ad un feroce indottrinamento politico. Ancora una volta il nostro involontario eroe, mi sembra giusto definirlo così, deve fare appello a tutte le proprie risorse interiori per reagire e salvaguardare la propria dignità umana e la propria identità; quindi grazie a Tonia, una bella infermiera interessata alla lingua ed alla cultura italiana, ottiene di essere assegnato al pascolo di un gregge di pecore. Finalmente nell’autunno del 1945, dopo quasi tre anni di prigionia, ad Alfonso viene annunciato il rientro a casa, che avviene tra la gioia di vedersi restituito ai propri affetti, l’apprensione per la sorte dei propri cari e per la situazione del proprio paese, la tristezza per i tanti, troppi compagni di sventura che non ci sono più, tra i quali anche Antonio, l’amico al quale Alfonso deve la vita.
In questa biografia, da non perdere, si intrecciano spietatezza e amicizia, disperazione e forza d’animo, ideologia e attaccamento ai propri valori ed alla propria identità, con una freschezza che può scaturire solo da una storia di vita vissuta. Rimangono nella mente del lettore alcune immagini indimenticabili: l’abbraccio della mamma di Alfonso alla partenza per il fronte, il campo di battaglia vicino al Don, la solidarietà delle donne russe durante le marce forzate, l’immagine dell’amico Antonio nella baracca del lager di Tambov. Rimane nella mente e nel cuore anche la risposta alla domanda che veniva posta all’inizio: con questa storia si ritrova il valore e il significato della pace che, non va dimenticato, è una conquista che dobbiamo alle generazioni che ci hanno preceduti e che della guerra hanno pagato il prezzo ma è anche una conquista che ogni generazione deve rinnovare perché il sacrificio di tanti non sia invano.
Vincenzo Di Michele, autore di questa biografia basata sul diario del padre Alfonso, continua a raccogliere materiale destinato ad una nuova opera sui dispersi in Russia. Chiunque sia a conoscenza di fatti riguardanti reduci di guerra o abbia avuto un proprio caro coinvolto nella campagna di Russia può collegarsi al sito www.vincenzodimichele.it.
Paolo Tolotti